Durante l’estate e l’autunno 2022 si sono svolte tantissime manifestazioni in molte città d’Italia e d’Europa, per tentare di impedire il rinnovo degli accordi (umanamente criminali e letali) sottoscritti attraverso un “Memorandum di intesa Italia-Libia” nel 2017, sotto il governo di Paolo Gentiloni (attualmente commissario europeo per gli affari economici e monetari) con ministro dell’Interno Marco Minniti. Ogni tre anni il “Memorandum of Undestanding Italy-Libya” (MoU) si rinnova in automatico a meno che o il governo italiano o quello libico non interrompano questo accordo almeno tre mesi prima della scadenza: il 2 novembre 2022 era l’ultima data utile per la disdetta dell’accordo. Una data che stava passando nel silenzio generale sia della stampa mainstream, sia del parlamento italiano, malgrado una vasta campagna di denuncia da parte di attivist* e ONG.
Il MoU, denunciato persino dalle stesse istituzioni internazionali (EU e ONU) che lo finanziano indirettamente attraverso i vari governi italiani che si sono susseguiti, causa ogni anno tra i migranti migliaia di morti, di sparizioni, di torture, di stupri e di schiavi da utilizzare nell’esercito libico. Un sistema assassino, di sfruttamento totale oltre i limiti della dignità umana.
In questo contesto, di lotta diffusa ma silenziata dai media meanstream, un gruppo di compagn* e attivist* di diverse aree politiche (tra cui una compagna del nostro gruppo) hanno deciso di effettuare un evento propagandistico d’impatto mediatico, che è finito addirittura sulla TV nazionale: sette compagnə, con il corpo dipinto di rosso per raffigurare il sangue di migranti che lo Stato sfrutta fino alla morte, si sono incatenat* davanti al Parlamento, ai pali di delimitazione di Piazza di Montecitorio a Roma. Una piazza ed un palazzo che da più di un anno sono inaccessibili per qualsiasi manifestazione. Il 19 ottobre 2022 dalle 10 alle 20 sono rimastə lì per un sit-in che non ha creato nessun danno al luogo, né ha impedito alle persone o ai veicoli di transitare. Nonostante la piazza fosse già transennata e sempre sorvegliata per il flash-mob, gli interventi al megafono (per denunciare ad alta voce gli abusi e gli orrori perpetrati dallo Stato e le sue politiche atte a impedire flussi migratori) sono stati ascoltati da molte persone, essendo un’area molto turistica.
La DIGOS, sin dal mattino, ha fatto un gran lavoro di persuasione psicologica per convincere il gruppo a interrompere la performance (lavoro facilitato dal fatto che le persone legate erano in tre posti distinti), con pseudo-negoziati per evitare di dover portarli via con la forza… e, in ultimo, con promesse di non fermarli e di non dare seguito repressivo a questo evento (a patto che si fossero slegatə volontariamente). Una volta sciolte le catene, invece, sono stati compilati verbali di denuncia e di sequestro del materiale presente direttamente in piazza (perché la DIGOS non aveva certo voglia di prolungare il suo tempo in questura!).
Tre mesi dopo questa protesta, i/le attivist* (per ora 3 dei 7) sono statə convocatə in questura ed è stato notificato loro la procedura penale in corso, con tanto di querela del PM per reato di manifestazione non autorizzata (art. 18 TULPS) ed altro (ancora non si ha accesso agli atti). L’apertura di una procedura penale per un flash-mob non violento e senza alcun danno, fatta da 7 persone, riassume il clima repressivo di questo Stato: sembra la negazione di un diritto ad esprimere il dissenso politico; in uno Stato che si etichetta come “democratico” (se questa parola ha ancora, o abbia mai avuto, un senso) ci sono segni evidenti di una repressione anche psicologica subdola e sempre più larga, che mira all’imposizione di un pensiero unico e alla sottomissione alle decisioni arbitrarie dello Stato.
Uno Stato che può adottare (e rinnovare) accordi internazionali che violano principi fondamentali del suo stesso quadro giuridico (come, ad esempio, quello del diritto internazionale alla migrazione, alla vita e alla dignità) nel silenzio generale; e dei cittadini che non hanno il diritto di esprimere nessun dissenso, circondati e silenziati nelle loro minime azioni, perché non siano visibili, perché non disturbino l’ordine costituito e imposto.
Esprimendo la nostra totale solidarietà e vicinanza umana e politica con chi subisce concretamente questo attacco alla libertà di pensiero, come Gruppo anarchico M. Bakunin non ci arrendiamo e proseguiamo il nostro percorso per denunciare e contrastare questa realtà oppressiva che si radica sempre di più nella vita sociale e nelle coscienze delle persone.
Gruppo anarchico Mikhail Bakunin FAI Roma & Lazi0